Un anno di pandemia: ben poco da festeggiare!
È passato circa un anno da quando la diffusione del Covid19 ha avuto inizio. Era Marzo 2020 quando qui in Italia abbiamo avuto il primo lockdown. Da allora non siamo ancora tornati alla normalità. Con alti e bassi, siamo passati da lunghi periodi di totale chiusura come agli inizi di questa pandemia, spaventati e isolati, a brevi parentesi in cui tutto sembrava andare verso una ripresa, come durante la scorsa estate. Ma tra l’autunno e l’inverno di quest’anno, ci siamo ritrovati di nuovo in isolamento, con un coprifuoco da rispettare. È vero che la situazione si è un po’ allentata rispetto al primo lockdown. A farla da padrona non è più la paura e il terrore, ma un generale senso di stanchezza per dover sopportare ancora tutte le difficoltà, economiche e sociali, legate a quelle restrizioni che una pandemia ancora in corso ci costringe a subire. E forse senza neanche rendercene troppo conto, siamo tutti un po’ più permissivi verso quello che dovrebbe essere ancora un periodo di semi-chiusura, a partire dal governo stesso.
Buon Natale e felice anno nuovo… si fa per dire!
Il Natale 2020 è stato davvero insolito, almeno per come siamo abituati qui al Sud Italia: niente tavolate immense con zii, cugini, nipoti per consumare tutti insieme il cenone infinito dalle mille portate. Ma un fugace pasto al massimo con mamma e papà e di corsa a casa. E poi l’arrivo del nuovo anno, ognuno facendo il conto alla rovescia a casa propria, rispettando il coprifuoco. Ma in qualche modo “festeggiando” come se a mezzanotte un incantesimo si sarebbe spezzato e sarebbe finalmente finito questo 2020 sfortunato, da dimenticare. Ma in realtà da un mese a questa parte davvero poco o niente è cambiato.
Il governo ha attuato la politica dei colori. Ogni regione ha un colore che le viene assegnato di volta in volta: il giallo, l’arancione o il rosso. Ovvero aree dove il rischio di contagio è più basso, regioni con rischio medio, e zone dove il rischio invece è molto alto. E per ogni colore ci sono delle regole. Qui in Calabria, dove risiedo, nonostante i contagi siano stati sempre tra i più bassi, la zona rossa è quella che ci è stata assegnata all’inizio di questa seconda ondata, con qualche parentesi arancione. E questo per via di un sistema sanitario che non funziona come dovrebbe.
Uno spiraglio di luce
Poi i colori hanno cominciato a cambiare. Con un nuovo decreto, dai primi di febbraio molte regioni in Italia sono tornate ad essere gialle, incluso la Calabria. Le scuole hanno riaperto, diverse attività chiuse hanno rialzato la saracinesca e per molti la vita ha iniziato a ripartire, anche se ancora lentamente. In tutto questo la speranza dei vaccini è un po’ il vero spiraglio di luce. Anche se per chi non è in età avanzata, gode di buona salute e non lavora nel settore sanitario, non c’è nessuna informazione su tempi e modi in cui potrà riceverlo. È partita, infatti, la campagna di vaccinazione per gli operatori sanitari e per gli over 80 anche se con qualche difficoltà e qualche rallentamento. Ora aspettiamo, chi più fiducioso chi un po’ più provato da questo anno così ostico.
Tutto questo che ha significato per noi sub?
E per noi subacquei com’è andata? Sicuramente è stato un anno a dir poco insolito. Apparteniamo a quella categoria di persone abituate a spostarsi di città in città, tra diversi comuni o diverse regioni. Soprattutto chi non ha la fortuna di vivere davanti al mare. E ci siamo ritrovati bloccati ognuno nella propria città. O nella parentesi di luce estiva, con la possibilità di muoverci all’interno del Paese. Ma nel nostro settore c’è anche chi è solito fare viaggi in altri continenti o spedizioni in zone remote, chi non vedeva l’ora di organizzare meeting, partecipare ad eventi e fiere per ritrovare tutti i compagni di avventure. Ma da un anno a questa parte siamo stati costretti tutti a grandi rinunce.
E per me, subacquea in lockdown a due passi dal mare?
Io ho la fortuna e il piacere di collaborare in un centro immersioni che per me non è solo il luogo di lavoro, ma davvero quella che si dice “la seconda famiglia”, lo Scilla Diving Center. Ho fatto qui il mio primo corso Open Water nel 2011, per arrivare a fare la Guida e adesso l’Istruttrice. Ancora qui, ancora nel mare di Scilla e dello Stretto di Messina. Ancora qui, con i compagni di sempre, con gli ospiti che tornano ogni anno e che sono ormai veri e propri amici. Quindi seguo con piacere e con passione tutto quello che riguarda la gestione, insieme ad altri istruttori e al proprietario di questo posto incredibile, Paolo Barone.
E a fine stagione continua il nostro impegno. È vero che è questo il periodo dell’anno dedicato a ricaricare un po’ le batterie, almeno per chi lavora in un diving che si trova in una zona dove in inverno c’è poco turismo e pochi sub. Ma si pensa a cosa fare per la ripartenza della stagione successiva: il rimessaggio del gommone, il collaudo delle bombole, la revisione di tutta l’attrezzatura. Dall’altro lato è anche il momento dell’anno che ci lascia più liberi. Infatti se durante l’estate ognuno di noi è impegnato con i propri allievi di corso o con i subacquei che guidiamo in questi fondali, ora è l’occasione per andare in acqua insieme tra noi istruttori e guide, per fare dei tuffi “nostri”, per puro piacere, condividendo l’emozione di un’immersione insieme.
Il mito di Scilla: una magia che ti strega!
A Scilla, noi che ci siamo cresciuti o che l’abbiamo scelta come seconda casa, siamo molto legati. Anche se non sappiamo dire bene il motivo, senza dubbio la sua bellezza è indiscutibile. Che si scorge non appena si cammina attraverso l’antico borgo di Chianalea (proprio dove ha sede lo Scilla Diving) o si ammira la spiaggia di Marina Grande. E che ogni volta che guardiamo il lungomare dall’alto della piazza principale, P.zza San Rocco, non riusciamo a non dirci che forse Scilla è davvero il posto più bello del mondo. Pur essendoci sporti da quella balconata un miliardo di volte, pur avendo attraversato il vecchio borgo di pescatori dalle due alle quattro volte al giorno per oltre trent’anni. Per noi c’è davvero della magia in questo posto. Senza contare quel valore aggiunto nascosto sotto il livello del Mare.
Per chi è nato e cresciuto qui o per chi se n’è innamorato, come Paolo che romano di nascita si è fatto adottare da Scilla e ha deciso 31 anni fa che il suo diving doveva essere proprio qui, questo luogo ha qualcosa di magico che nessuno di noi è mai riuscito a spiegare razionalmente. Chi ne ha subito l’incantesimo sa bene cosa intendo. Perché Scilla non finisce mai di ammaliarti, incantando continuamente anche gli occhi più abituati.
D’altronde parliamo di un luogo dove si respira aria di antichità. Nella mitologia greca, Scilla era una ninfa bellissima, solita fare il bagno nelle acque del Mar Tirreno, presso Zancle. Un giorno incontrò un essere metà uomo e metà pesce, Glauco: un ex pescatore che era stato trasformato in divinità. La ninfa, spaventata dalla vista di quella creatura, scappò. Ma Glauco ne era rimasto folgorato e innamorato. Così si recò dalla maga Circe per ottenere un sortilegio che facesse innamorare Scilla di lui. Ma Circe si infuriò. Glauco adesso era un dio e non poteva amare una comune mortale. Circe offrì al dio di unirsi a lei, ma Glauco si rifiutò. La maga, infuriata per questo rifiuto, volle vendicarsi. Versò una pozione nelle acque dove Scilla era solita bagnarsi, che la trasformarono in un essere mostruoso: attaccate alle sue gambe, spuntarono corpi di serpente con sei teste di cani rabbiosi. Così, terrorizzata da se stessa, Scilla si gettò in mare e trovò dimora in una cavità negli abissi. Insieme a lei, nello Stretto di Messina, abitava anche Cariddi, un altro mostro gigantesco dalla bocca enorme, molto vorace, che secondo Omero ingoiava e risputava grandi quantità d’acqua, trattenendo però i poveri esseri viventi che vi si trovavano. Questa è la leggenda dello Stretto di Messina, un pezzo di mare dominato da queste due creature spaventose. Sulla sponda calabrese il mostro di Scilla, colei che dilania. E al versante opposto Cariddi, colei che risucchia.
Ecco spiegata, secondo la mitologia greca, l’origine dei famosi vortici che caratterizzano da sempre questo pezzo di mare. Forti e caratteristiche correnti che un tempo terrorizzavano i naviganti che attraversavano lo Stretto di Messina e che oggi, per noi subacquei, rappresentano una legge ferrea da seguire: mai andare sott’acqua a Scilla senza aver considerato le tavole di marea, o si rischia di essere “dilaniati”!
I miei piani sfumati
Quest’anno, forse anche reduce dall’isolamento della primavera, avevo voglia di partire. E infatti i miei piani erano un po’ diversi, almeno per i primi mesi una volta finita la stagione estiva e praticamente conclusi i miei impegni al diving. L’idea era quella di fare qualche sacrificio economico e comprare un’automobile, caricare l’attrezzatura e risalire l’Italia facendo diverse tappe per immergermi in vari luoghi, così belli e importanti dal punto di vista subacqueo ma ancora mai visitati. Tutto questo insieme alla mia amica e divemaster del diving, Federica. Partendo proprio dai posti più vicini del Sud Italia per arrivare chissà dove, senza una meta precisa, avevamo iniziato a pianificare le nostre immersioni sedute al tavolino di un bar nel borgo di Chianalea, a pochi passi dal diving, con un buon bicchiere di vino e scrivendo su una tovaglietta di carta le prime mete che non potevamo saltare. E la lista cominciava ad essere davvero lunga…
Ma purtroppo le nuove restrizioni hanno bloccato tutti i nostri sogni. Finita l’estate ci siamo ritrovati a fare i conti con il secondo lockdown. Così la macchina nuova è arrivata ad ottobre, ma per parecchio è rimasta parcheggiata sotto casa. Vi lascio immaginare quanto mi sia pentita di aver sostenuto una spesa del genere proprio adesso che è difficile lavorare e fare progetti per il futuro, dove tutto è incerto. Ma non mi sono voluta perdere d’animo. Mi sono detta che non mi sarei potuta spostare di molto, ma ho la fortuna di vivere in un posto che si trova esattamente tra due mari, lo Ionio e il Tirreno: Reggio Calabria e, in generale, lo Stretto di Messina. Un luogo che ha dato origine a leggende, racconti mitologici, un posto che sin dai tempi di Omero ha lasciato il segno in tutti quelli che ci sono passati. E così, nelle parentesi di colore giallo, non ho perso l’occasione di fare più immersioni possibili proprio qui, nella mia terra, a pochi chilometri da casa.
Le origini della Montagna
Tra i tuffi che più colpiscono i subacquei che visitano lo Stretto di Messina, senza dubbio sul podio c’è la Montagna. Nel fondale di Scilla si erge questo monolite di roccia alto circa 20 metri. Una secca molto conosciuta nella comunità subacquea non solo locale, non solo italiana, ma ormai internazionale. Considerata una delle immersioni più belle del Mediterraneo, è davvero uno dei gioielli di questo mare e di sicuro la sua fama la si deve in gran parte a Paolo. Fu lui ad aprire il primo diving della zona, a cambiare le sorti di questo posto da un punto di vista subacqueo. Era il 12 aprile del 1990 quando venne inaugurato lo Scilla Diving Center e a dire il vero credo che in generale i diving in Italia all’epoca non erano poi così tanti.
Romano di nascita, calabrese di adozione, aveva visto per la prima volta la Montagna per puro caso, durante un’immersione in solitaria. Era il 16 luglio del 1987. Questa secca era già conosciuta dai locali che la chiamavano “Dente di Cane”, ma Paolo ne sentirà parlare solo dopo averla vista, solo quando il suo entusiasmo lo porterà a condividere con i subacquei della zona quello che aveva appena trovato. “Ho visto una Montagna, una Montagna incantata”, esclamerà con l’attrezzatura ancora addosso ai suoi compagni che quel giorno, chissà perché, decisero di non scendere in acqua con lui. L’entusiasmo di quel ragazzo nasceva dalla sua piena consapevolezza di aver appena visto il posto più bello del mondo, almeno per lui, dentro e fuori dall’acqua. I suoi amici erano seduti al Rock Bar (oggi Dal City Pub) ad aspettarlo e Paolo appena riemerse si precipitò a parlar loro di quella scoperta, ancora con le bombole in spalla e con la paura in quegli occhi giovanissimi che potesse essersi trattato di un miraggio o di un posto che non avrebbe mai più ritrovato. Fortunatamente, non fu così: quel luogo era reale. Lo ritrovò il giorno dopo e quello dopo ancora, e poi quello successivo. In questi 34 anni ci è tornato chissà quante volte, senza mai stancarsi. Da allora, da quella espressione spontanea che venne fuori a quel diciannovenne entusiasta, la Montagna fu battezzata così.
Dopo 31 anni dall’apertura del diving, i subacquei che ogni anno vengono ad ammirarne la bellezza sono moltissimi. Io ho scaricato il mio GAV per ritrovarmi immersa in questo paradiso sommerso centinaia di volte. Nonostante questo, continua ad ispirarmi ed emozionarmi sempre. Forse più adesso che quando la incontrai la prima volta. Non perché sia più bella, anzi, purtroppo negli anni ha cominciato a soffrire come molti altri siti del mondo sommerso. Ma il mio primo incontro con la “Signora secca” avvenne quando stavo facendo il corso advanced, quindi ancora quando ero una giovanissima subacquea, senza una grande esperienza. Certo, già al primo sguardo rimasi incantata, ma quella era una meraviglia un po’ inconsapevole, lo stupore di trovarsi di fronte agli occhi per la prima volta la bellezza vera. Che certamente ha un impatto enorme. Ma c’era molto altro che all’epoca non vedevo, non percepivo. Oggi l’emozione è ancora più grande perché il mio sguardo è più consapevole, mi rendo maggiormente conto del valore di tutto ciò che vive su quel monolite e di quanto quell’ecosistema sia delicato e prezioso. Quindi mi sento molto fortunata e privilegiata. Sono anche una subacquea più esperta, non devo pensare ad esercizi o assetto, riesco a godermi pienamente ogni pinneggiata tra quelle gorgonie uniche, in modo più rilassato. E con le capacità che crescono, con la profondità che aumenta, si aprono continuamente nuove possibilità di esplorazione. Che sembrano non finire mai. La Montagna non finisce mai. E poi, un altro valore che si è aggiunto nel tempo è la lunga lista di emozioni e di ricordi che ho collezionato in quel posto.
Insomma, un amore a prima vista, certo, ma di quelli che non si spengono appena passa un po’ di tempo. Non capita spesso, è una cosa molto rara, ma forse una volta nella vita può succedere di incontrare qualcuno che immediatamente ti entra nel cuore. E non esce più. Passa il tempo e l’amore non si affievolisce come capita spesso, anzi, si rafforza. Forse anche perché si riescono a superare grandi difficoltà, forse perché stimolati dalla voglia di continuare un percorso insieme, di scoprire nuove strade, di fare nuovi progetti. E intanto noi tutto questo, con enorme fortuna, l’abbiamo trovato nel mare di Scilla.
Gli abitanti di un paradiso sommerso
Questo inverno, con il diving chiuso e con tanto, troppo tempo libero e i miei piani di viaggio saltati, mi sono dedicata soprattutto a fare immersioni nel mio posto del cuore, in questo paradiso a pochi chilometri da casa.
Ammirando la Montagna la prima cosa che ti colpisce è senza dubbio la Paramuricea clavata, un celenterato normalmente di colore rosso, ma qui nella sua peculiare variante bicolore. Ed è proprio a questi rami di gorgonie giallo-rosse che la Montagna deve la sua fama.
È vero che non si incontrano solo in questa secca, ma in tutte le immersioni che facciamo a Scilla ci troviamo letteralmente avvolti da questi animali ramificati. Forse in alcuni siti in modo ancora più spettacolare. Però la Montagna è sempre stata un posto unico, chissà come mai: forse perché più gestibile e versatile, che meglio si presta a varie esigenze. La sua posizione più “semplice” permette di raggiungerla seguendo il fondale che degrada man mano e non richiede una discesa più impegnativa lungo una cima nel blu, come invece è d’obbligo per le altre secche della zona. Avvolta da queste colonie di invertebrati “fioriti”, ciò che colpisce è la contrapposizione tra i colori infuocati dei ventagli che ricoprono intere pareti e il blu intenso di queste acque che fa da sfondo. A volte sembrano dei veri e propri bouquet, quando sui rami di gorgonie trovano dimora i grappoli di Clavelina lepadiformis. Quando poi la Montante incalza, queste formazioni arborescenti cominciano a vibrare come fossero delle girandole al vento. E ti avvertono che dietro l’angolo potrebbe esserci una forte corrente. Perché nello Stretto tutto può essere imprevedibile, anche i flussi di marea.
Un’altra peculiarità della Montagna sono i sui meravigliosi e fluttuanti Cerianthus membranaceus. Se ne possono incontrare in tutto quattro ai piedi di questa secca e sono disposti lungo la franata che va dai 32 ai 42 metri. Il primo, a quota 32, è quello che mi colpisce sempre, forse perché lo vedi subito. Lui fa un po’ da presentatore, ti introduce a quello spettacolo che sta per cominciare, anzi, che è appena iniziato proprio da quel primo e incantevole incontro. Adoro ammirarlo senza luci puntate, perché ha un colore e una particolarità che altri non hanno, non così. Di una tonalità un po’ più tendente al grigio chiaro, le punte dei suoi tentacoli brillano di un arancione intenso, come se ci fossero delle piccole lampadine fluorescenti ad ogni estremità. Che appena punti la tua potente torcia, si spengono. Quindi a fari spenti scopri questa sua magia.
Il secondo, ad una quota di 36 metri, è il più famoso, il più gettonato e il più fotografato tra i suoi fratelli. Grande e maestoso, regna qui da chissà quanti anni. Subacquei che si immergevano qui già negli anni ’50 se lo ricordano in quel punto e di quelle dimensioni. Sarà un animale centenario, penso. Uno spettacolo unico, per grandezza, per posizione, per colore. Non mi stupisco del perché sia così tanto “paparazzato”, lui, il più chiaro e luminoso, di un bianco omogeneo.
Il terzo e il quarto sono i più piccoli della famiglia, ma anche loro in realtà chissà quanti anni avranno. Questi due ultimi cerianti, rispettivamente alle quote di 40 e 42 metri, colpiscono ogni subacqueo che li incontra. Anche in questo caso le lampadine arancioni luminescenti al termine di ogni tentacolo riccioluto ammaliano.
E lo spettacolo continua: insediamenti di Astroides calycularis che se scali la Montagna e arrivi in vetta, le colonie di gorgonie lasciano il posto a queste appariscenti madrepore dai polipi arancioni brillanti. Come succede anche nelle vette delle guglie circostanti, il corpo principale della secca, dove la foresta di Paramuricea man mano che si sale di quota diventa un giardino di margherite in mare, Parazoanthus axinellae. E ancora l’Astrospartus mediterraneus che da qualche anno è tornato ad instaurare un legame duraturo e consolidato con qualche ramo di gorgonia. E poi le cernie, che a volte le puoi avvistare in mare aperto mentre nuotano in banco, ma anche singolarmente. Esemplari grossi e stanziali, vecchie amiche talmente riconoscibili da aver ricevuto nomi: Baby Boom così come chiamata da Marco, o Scarlet, la preferita di Francesco.
Questi splendidi pesci dall’espressione imbronciata non si lasciano avvicinare, ma solo ammirare da lontano, sempre all’imbocco della propria cara e amata tana, pronti per entrarci appena provi ad accorciare troppo le distanze. Lo Scorfano rosso (Scorpaena scrofa) invece è sempre tranquillo e immobile, e con lui puoi spingerti un po’ di più e tentare un avvicinamento, riuscendo a trovarti anche ad un centimetro di distanza… Difficilmente gli vedrai fare lo sforzo di muoversi dal suo letto-scoglio. Illuminando con la torcia qualche angolo più buio, si incontrano anche le baffute Musdee (Phycis phycis), che escono ed entrano tra anfratti e squarci nella roccia, scambiandosi il posto con qualche grossa Murena (Muraena helena). Non si può non rimanere totalmente incantati dai miei amati Anthias antihas: come nuvole di danzatrici in tutù, così eleganti e di quel colore delicato tra il rosa e l’arancio, con pinne che sembrano veli delicatissimi, avvolgono ogni roccia, ogni angolo di questo vero e proprio paradiso sommerso. Nei giorni più fortunati, capitano gli avvistamenti pelagici, gli incontri furtivi: ricciole e tonni che spuntano all’improvviso come missili, tanto che a volte viene istintivo adottare una sorta di posizione di difesa. Compaiono a forte velocità e sembra che ti sfiorino abilmente, per poi sparire in nell’orizzonte liquido.
Video: https://www.facebook.com/100004081929174/videos/2446163152196392/
Quando arriva l’inverno
A rapire l’attenzione di ogni subacqueo nei mesi più freddi, soprattutto a partire da gennaio, è lui: il San Pietro, Zeus faber, che nelle immersioni invernali si è mostrato in tutta la sua bellezza. Un animale davvero particolare, dalla silhouette compressa e dalla livrea leggendaria. La caratteristica macchia nera su sfondo di strisce dorate, leggenda vuole sia l’impronta lasciata da San Pietro, che su richiesta di Gesù lo afferrò per estrarre dalla sua bocca una moneta d’oro, o forse per liberarlo dalle reti. Invece è, come lo chiamo io, un “dono evolutivo”, un finto e grande occhio che serve a depistare i suoi predatori. Un’altra peculiarità è la pinna dorsale singolare, un raggio di spine rigide e allo stesso tempo vibranti. Che manca solo diffondessero della musica classica per farlo sembrare una sorta di carillon incantevole. Vederlo nuotare è uno spettacolo unico. Pur conducendo una vita solitaria, nei nostri ultimi tuffi abbiamo avuto la fortuna di incontrarne anche cinque esemplari in un’unica immersione, tutti tra i 40 e i 55 metri di profondità. Quello che mi ha colpito è che sembra davvero che questi animali si fidino di te. Basta solo che ti avvicini senza fare troppo “rumore”. E allora questo è stato il nostro approccio: cercare di accorciare le distance per ammirarli meglio e provare a rimanere immobili il più possibile, proprio come loro. Sospesi nel blu, ci siamo abbandonati solo alle movenze legate al nostro respiro, come questi pesci a quello delle loro vibranti pinne. Poi abbiamo cercato di seguire lentamente i loro spostamenti. È stata una danza. E per un po’ si sono lasciati ammirare, ci hanno concesso un ballo, osservandoci e seguendoci sempre con i loro occhi attenti. Ma poi a volte sei tu che devi abbandonare la pista, o sono loro che ne hanno abbastanza e basta uno scatto.
E questo il secondo video, lo show dei San Pietro: https://www.facebook.com/100004081929174/videos/2476336309179076/
Quando è il momento di risalire, l’immersine continua. Il tempo di fondo finisce, allora si comincia a pinneggiare la franata a ritroso, verso quote man mano inferiori, ma la bellezza non si esaurisce. Spesso è un vero acquario anche tra i 20 e i 10, certe volte fino all’ultimo centimetro: Occhiate, Saraghi, Alici, Salpe, Polpi, Castagnole, Vermocani. E ancora diverse madrepore, nudibranchi di varie specie che cambiano con le stagioni. Insomma c’è ancora tanto da scoprire finché non raggiungi la superficie, a volte anche questa decorata da qualche elegante Cassiopea o dalle urticanti Pelagia, sempre a seconda del periodo dell’anno e delle correnti.
Questi i miei tuffi da post lockdown, ma non solo. A volte mi sono messa in marcia verso il versante ionico, per ammirare uno spettacolo totalmente diverso, ma altrettanto bello: è questo il caso del relitto “Bettolina” a Lazzaro, della grotta della “Castelluccia” sempre a Lazzaro, dei fondali di Pellaro con i meravigliosi pesci trombetta, e tanti altri punti interessanti sempre pur rimanendo nel raggio di pochi chilometri da Reggio, come decreto vuole. Ma queste sono altre storie.
Insomma, in questi giorni ho davvero riscoperto “casa”, quei luoghi del cuore che a volte diamo un po’ per scontato senza renderci conto del tesoro prezioso che abbiamo sempre sotto gli occhi.
Spero, quindi, di aver trasmesso un po’ l’amore per la propria terra, o meglio, la propria acqua. So che è un periodo di grandi difficoltà, di restrizioni e che non tutti abbiamo la fortuna di avere il mare (o il lago) a portata di pinna. E per chi non ce l’ha, la proprio acqua, vi ho raccontato un po’ di bellezza che noi, amanti del mondo sommerso, abbiamo avuto e avremo la fortuna di poter ammirare presto. Intanto vi ho guidato virtualmente con parole e immagini nel profondo di questa magia. Ma preparate le valigie che Scilla, la vostra Scilla, vi aspetta per davvero!
Sull’autore
Cristina Condemi è un’istruttrice subacquea RAID ed un membro dello Scilla Diving Center. È nata a Reggio Calabria e il mare dello Stretto di Messina è sempre stato il suo ambiente naturale. Laureata al DAMS (Discipline dell’Arte, delle Musica e dello Spettacolo) dell’Università di Bologna, ha vissuto in Spagna e in Galles. Guida subacquea nel mare di Scilla dal 2014, accompagna subacquei di ogni livello alla scoperta di questi straordinari fondali e delle creature che li abitano, con un particolare riguardo per il rispetto di questo fragile ecosistema: un’attenzione che cerca di trasmettere anche ai suoi allievi. Ecologista, vegana e animalista, pratica immersioni tecniche dal 2018, scrivendo in rete il racconto delle sue esperienze come subacquea. Collabora come traduttrice con DAN Europe.
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Articolo pubblicato in inglese sul blog di DAN Europe: Rediscover Local Diving: The Mountain of Scilla
Bibliografia: DAN Europe – scubaportal.it